giovedì 20 marzo 2014

Quando il coraggio di far bene il proprio mestiere si paga con la morte


Ci sembra doveroso ricordare la giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin, oggi, a venti anni dal loro assassinio.
"Somalia: uccisi due giornalisti italiani a Mogadiscio – Mogadiscio, 20 marzo – La giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e il suo operatore, del quale non si conosce ancora il nome, sono stati uccisi oggi pomeriggio a Mogadiscio nord in circostanze non ancora chiarite. Lo ha reso noto Giancarlo Marocchino, un autotrasportatore italiano che vive a Mogadiscio da dieci anni".
Il Caso Alpi/Hovatin comincia così, con queste poche righe, ancora frammentarie, battute alle 14.43 del 20 marzo 1994 dall’agenzia ANSA sui terminali dei quotidiani e delle televisioni italiane. E con questa terribile vicenda comincia anche la battaglia solitaria, ma incessante, alla ricerca della verità: un altro caso non risolto…
Chi, e soprattutto perché, ha assassinato due giornalisti, inviati in una zona di guerra particolare come la Somalia diventata, da tempo ormai, un inestricabile crocevia di traffici illeciti ben nascosti dietro il paravento ipocrita della cooperazione internazionale?
Ilaria Alpi, giornalista del Tg3 ed il suo operatore, Miran Hrovatin, in Somalia al seguito dell’operazione militare multinazionale, sotto egida ONU, Restor Hope, fortemente voluta dagli americani, stavano indagando proprio su questi oscuri traffici - armi e rifiuti tossici, in particolare dentro i quali apparati politico-diplomatico-militari dello Stato italiano erano dentro fino al collo.
Eppure, da anni ed anni, questa verità, prima ancora di essere negata, continua ad essere ostacolata in tutti i modi, con ostinazione, grazie soprattutto all’ultilizzo di uno strumento immutabile e fisso: i servizi segreti.
Cosa c’era di tanto innominabile nelle scoperte giornalistiche che Ilaria e Miran avevano o stavano per fare? Che Paese era la Somalia del 1992-93? Che cos’è oggi? La morte del maresciallo Vincenzo Li Causi, l’uomo di Gladio in Sicilia, è collegata al caso Alpi-Hrovatin? Che comportamenti tennero i militari italiani in Somalia impegnati in quella missione - sulla carta almeno una missione umanitaria - sui quali ancora oggi aleggia la presunzione di aver praticato violenze e torture sulla popolazione? Perché l’affarismo così bene si sposa con le operazioni di natura militare? Lo sapevate che tra i protagonisti di questa vicenda vi sono anche due ufficiali dei carabinieri che - a distanza di sette anni - ritroveremo in azione in piazza Alimonda a Genova - dove Carlo Giuliani sarà ucciso - nelle giornate del G8? Che eroi ha commesso la magistratura? Chi è Hashi Omar Hassan, il somalo divenuto il "capro espiatorio" di questa orribile vicenda che, anziché fuggire, sembra quasi voler stare in galera ad ogni costo?
Il caso Alpi - Hrovatin come un puzzle incompleto, ma anche come punto di coagulo di molte delle storie più oscure del nostro Paese…
Ci sembra doveroso ricordare queste persone, così, per non dimenticare…
Circolo “N. Mandela”

Maddaloni

mercoledì 19 marzo 2014

“Per amore del popolo non tacerò!”



Il 19 marzo del 1994, alle 7,20 del mattino, la camorra ammazzava Don Peppe Diana, il prete di Casal di Principe che aveva dedicato la vita e l’impegno pastorale alla lotta per contrastare illegalità, abuso, privilegio, assassinio della speranza nel futuro. Le sue non erano prediche generiche o esortazioni buone per ogni cerimonia, ma ragionamenti ricchi di esempi, di nomi e di cognomi, di denunce etiche e politiche. Don Peppe era della stessa pasta dei Don Pino Puglisi o dell’arcivescovo Romero, ammazzato sull’altare perché aveva scelto di stare dalla parte degli ultimi, di chi contrastava emarginazione e sfruttamento.

Don Diana fu ammazzato perché non si era arreso al tramonto dello Stato di diritto e voleva educare i giovani alla legalità e al rifiuto della connivenza e della convivenza con la camorra ed il suo sistema di potere, quello invisibile e quello visibile, rappresentato dai suoi delegati nelle istituzioni, negli affari, nelle professioni. Questa sua “pretesa”, questa azione civica quotidiana, questo uso della parola gli sono costate la vita.

Il modo migliore per onorarlo ci sembra quello di ripubblicare la sua “predica” più famosa “Per amore del mio popolo non tacerò”, il documento letto in tutte le chiese di Casal di Principe il 25 dicembre del 1991.

<<Siamo preoccupati. Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere ‘segno di contraddizione’. Coscienti che come chiesa ‘dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà’. La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato>>.

Con queste parole, il Circolo “Nelson Mandela” vuole mantenere vivo il ricordo di tutte le persone che, come Don Peppe Diana, hanno regalato alla comunità la propria vita per sconfiggere ogni forma di sopruso da parte della criminalità organizzata.

sabato 15 marzo 2014

La marcia per l’ambiente dell’amministrazione comunale non ha senso

L’amministrazione comunale di Maddaloni stupisce ancora una volta per le iniziative inedite che riesce a mettere in campo. Inedita è, infatti, l’organizzazione di una marcia in difesa del territorio e della salute, alla quale si invitano a partecipare i cittadini e le associazioni. Con un atto unilaterale l’amministrazione – che precisa di non avere l’intenzione di marciare “contro nessuno” (ci mancherebbe: contro chi potrebbe marciare se non contro se stessa o contro i livelli regionali e centrali con i quali si vanta di intrattenere ottimi rapporti istituzionali?) – promuove un’iniziativa che avrebbe dovuto essere, quantomeno, concordata e condivisa con le associazioni e i comitati locali, che, invece, si troveranno ad aderire come semplici invitati. Formalità a parte, non si capisce davvero il senso di una marcia per la salute, a fronte dell’assenza di una presa di posizione ferma sulle emergenze ambientali cittadine, prime fra tutte Foro Boario e Cava Monti. Piuttosto che organizzare una marcia fino al Foro Boario, l’amministrazione farebbe bene a presidiare la Regione per denunciare l’atteggiamento di assoluta indifferenza da parte dell’Assessore regionale all’ambiente. È offensivo, infatti, per l’intelligenza di chi conosce la vicenda di Cava Monti, l’ingiustificato risalto dato dalla stampa locale, opportunamente amplificata dal sindaco, a un ‘fatto’ in sé insignificante. Ci riferiamo alla notizia secondo cui l’Assessore Romano avrebbe interrogato la Sogesid spa, società incaricata dell’intervento di rimozione, trasporto e smaltimento rifiuti in località Zucca - Foro Boario, in merito ai ritardi nello svolgimento dei lavori. Ebbene, a questo punto, non è sufficiente che l’assessore regionale interroghi o solleciti, né è accettabile che un giro di sollecitazioni – il sindaco che sollecita l’assessore, che sollecita la ditta – venga propagandato come una produzione di ‘fatti’ da parte della filiera istituzionale. Le sollecitazioni sono e restano chiacchiere, se a esse non seguono immediatamente azioni verificabili da parte dei cittadini. Men che mai, è sufficiente che l’amministrazione si metta in marcia, opportunamente sponsorizzata dai big che hanno portato la vicenda della “Terra di fuochi” alla ribalta mediatica. Oggi, però, non serve più cercare le luci della ribalta. Oggi, davvero si rischia che la sola funzione di queste manifestazioni diventi quella di canalizzare l’indignazione e la protesta, fino a farle evaporare. I cittadini maddalonesi non hanno bisogno dell’empatia dell’amministrazione comunale, né di quella di un primo cittadino sempre e comunque dalla parte del cittadino, salvo poi accusarlo – quando conviene – di comportamenti impropri. Questo è il momento di azioni risolutorie, di provvedimenti definitivi, di risposte certe, che non possono essere più occultate da una propaganda mistificatoria. Insomma, sarebbe il caso che l’amministrazione cambiasse davvero marcia, a fronte di inefficienze evidenti anche in altri ambiti, come nella gestione del ciclo ordinario dei rifiuti. Sotto questo aspetto, Sel Maddaloni intende rimarcare che a nulla vale l’accusa di inciviltà ai cittadini che non rispetterebbero il calendario della raccolta differenziata: compito di un’amministrazione è anche quello di renderli civili, con sanzioni esemplari e incentivi. Circolo Sel “Nelson Mandela” Maddaloni